L’ arte del sapersi accontentare risiede nella capacità di gratitudine…” Nel saggio ” l’ingratitudine: convesation sur notre temps” di Gallimard (Paris 1999), l’ingratitudine è la disposizione affettiva del nostro tempo. Tanto trovo raggelante questa definizione, quanto coerente con la realtà. E la coerenza non sempre rassicura e conserva. Ma torniamo a bomba, cosa significa essere ingrati? Sebbene nel mero significato del termine l’ingrato, è colui/colei irriconoscente di un beneficio ricevuto, nelle teorie comportamentali tale atteggiamento racchiude in sè non tanto un atto circostanziale fine a sè stesso, ma il carattere di una persona. Infatti tale condotta, è tutt’altro che circostanziale e la motivazione dell’ utilizzo dell’ingratitudine risiede nell’incapacità di saper riconoscere non tanto il beneficio ricevuto, ma le capacità di chi ce la donato, entrando in competizione. Difatto l’ingrato, prima di diventare tale, ammira in modo indefesso colui-colei o coloro che formulano un beneficio, ne esalta le gesta, per poi al raggiungimento dell’obiettivo, o subito dopo o poco prima, distruggerne la credibilità. Cosa alimenta quindi tale comportamento? Nel libro di Marita Rita Parisi, “Ingrati, la sindrome rancorosa del beneficato”, il comportamento ingrato è definito come una sindrome, ossia un complesso di sintomi che concorrono a caratterizzare un quadro clinico deviato. Questo libro ha fatto un passo in più rispetto alle teorie comportamentali. Esso infatti definisce l’ingratitudine, non come un comportamento che definisce il carattere di una persona, ma come una vera e propria forma di devianza, derivata da problematiche di ordine psichico. Secondo l’autrice, psicologa, psicoterapeuta, e Presidente della Fondazione “Movimento Bambino”, l’ingratitudine è un procedimento perverso della nostra mente per il quale un beneficato si rivolta contro il suo benefattore. Atteggiamento riconosciuto anche dalla sapienza popolare che dice: “Amico beneficato, nemico dichiarato”. Purtroppo, la vita è piena di casi in cui la persona che ha ricevuto un favore sviluppa un senso di rivalsa, anche di odio ingiustificato, verso il suo benefattore e il beneficato diventa ingrato: nella sua mente da salvatore il beneficatore diventa nemico e scatta una vendetta spesso pericolosa nei confronti del benefattore, per il bene ricevuto; è uno di quei meccanismi perversi con i quali la psicologia umana spesso ci sorprende. Ma quali sono i sentimenti che trasformano la gratitudine in ingratitudine? Il senso di inferiorità e d’ invidia per le capacità del benefattore, crea nel beneficato una malattia dell’anima che si manifesta rifiutandone la dipendenza, auto convincendosi che lui/lei non deve niente a nessuno, facendogli pagare il suo senso di inferiorità. Al di la delle disquisizioni che si possono fare sull’ origine dell’ingratitudine, tale atteggiamento rimane deleterio al fine relazionale, quanto svilente per lo sviluppo sociale umano. Per quanto l’ingratitudine sia stata riconosciuta come una devianza psicologica innata è pur vero che tale defezione può divenire acquisita. In un mondo competitivo dove si spinge al MORT SUA VITA MEA, nel quale le frasi del calibro di: IL CANE NON MUOVE LA CODA PER NIENTE, NESSUNO FA NIENTE PER NIENTE ecc… girano in rete per alimentare e giustificare i disprezzo l’ odio contro qualcuno, c’è un esempio che tutti noi non dovremmo dimenticare. Non comprendere o condividere le motivazioni che muovono qualcuno ad aiutare disinteressatamente il prossimo, non solo dimostra che noi non lo faremmo se fossimo nella stessa condizione, ma ci mette nelle condizioni di non credere al disinteresse cercando quindi ogni modo per dimostrare il contrario… ciò è accaduto al più assoluto portatore e dispensatore di pace e bene nel mondo. Gesù di Nazareth. Finito torturato in croce, non per avere amato disinteressatamente, ma per avere dimostrato che gli altri non erano capaci d’amore disinteressato. Le capacità infatti fanno male a coloro che non le hanno, spingendoli a fare ogni cosa pur di dimostrare che non è così. Quindi agli ingrati non resta altro da fare che distruggere la credibilità del benefattore o ancora la sua persona, pur di non sentirsi inferiori a lui. Tutto ciò, rende primitiva la società umana che giustifica atti di violenza contro coloro che minacciano la propria imperfetta stabilità. Ma esiste “un tonico, una formula” per guarire dall’ingratitudine? Si. Alimentare la propria autostima. Perchè essa sa riconoscere senza sentirsi in competizione le capacità altrui abbandonandosi ed accettando con dignità senza rabbia, senza rancore e con immensa riconoscenza per ciò che qualcuno ci da, sdebitandoci a nostra volta con altri. Affinchè l’aiuto disinteressato diventi una catena umana costante continua. Quindi guarire dal peso dell’ingratitudine si può? Come tutti i comportamenti e le devianze, lavorare su noi stessi può arginare tali sindromi distruttive, trasformandole. Ma rimane il fatto che chi prova rancore e si auto giustifica pur di alimentarlo, deve essere in grado di mettersi nelle condizioni di auto valutarsi. Sinchè ci si giustifica nell’utilizzo di tali armi emotive che possono diventare anche fisiche e degenerare nello stalking, o nella diffusione di menzogne o calunnie è impossibile curare l’ingrato. Quindi, l’unico modo per difendersi è sapere riconoscere nelle persone i sintomi deviati. Suggerisco a coloro che hanno a che fare con le persone di valutarne i comportamenti. Quando sono poco equilibrate, inquiete, quando cambiano speso umore, quando danno la colpa delle loro sventure sempre agli altri, quando parlano con rancore, quando cambiano atteggiamento e carattere continuamente; quando hanno picchi di euforia seguiti da picchi di disprezzo; quando hanno comportamenti smodati, non moderati, incoerenti o infelici…. per difendersi dall’ingratitudine suggerisco di tenere presente tale proverbio: “…Sempre ti graffierà chi nasce gatto…”. Quindi statene alla larga. A meno che non vi sentiate crocerossini/ne e vogliate salvare un deviato… bhe a quel punto sappiate che ne pagherete amaramente le conseguenze. Dr.ssa Salvi
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