Negli ultimi anni, l’aumento della quantità di vita si è purtroppo tradotto nell’aumento della “prestazione lavorativa“, con conseguente obbligo da parte di tutti, di lavorare più ore al giorno, spesso in condizioni di turnazione anti-fisiologiche almeno sei giorni la settimana ed in modo più performante fino ad un età che fino a pochi anni fa era destinata al buen ritiro. Il mondo del lavoro (istituzioni, imprese, concorrenza etc) pretendono sempre più e danno sempre di meno e non solo in termini economici. Tutto ciò produce un ansia e una frenesia di prestazione, che non solo ha del tutto disequilibrato le priorità umane (una volta si lavorava per vivere ora si vive per lavorare), ma costringe ognuno di noi a non doverci fermare per il timore di non riuscire ad affrontare economicamente, le spese che la vita consumistica di oggi ci impone; costi che dispetto agli stipendi, aumentano ogni anno.
Ma di fronte alle richieste sempre più spinte delle imprese e delle stesse istituzioni, per paradosso sono diventate insufficienti se non mancanti tutte quelle misure che consentirebbero al lavoratore di poter svolgere ciò che viene richiesto senza che ne danneggi la salute.
Il lavoratore si trova a lavorare sempre più ore in ambienti non idonei, inquinati, con temperature troppo calde o fredde, con pause spesso inesistenti o insufficienti svolte difronte a macchinette che distribuiscono alimenti spazzatura, respirando fumi o sostanze teratogene (tossiche), con presenza di inquinanti ambientali o acustici, in posizioni stereotipate mantenute per lungo tempo senza potersi “sgranchire le gambe”, spesso senza ausili di sostegno per la schiena o tutori che eviterebbero l’over use di alcune strutture muscolo scheletriche o su macchinari che costringono a stare troppe ore seduti o in piedi od ad assumere posizioni innaturali e forzate; mangiando in mense con alimenti che favoriscono patologie metaboliche. E le “malattie professionali” sono la naturale conseguenza di questa situazione che colpisce tutti i lavoratori indistintamente.
I dolori muscolari lavorativo-dipendenti (mal di testa, schiena, collo, tendinopatie, speroni calcaneari, formicolii e debolezza agli arti, sciatiche etc) come le malattie metaboliche (diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, dislipidemia, invecchiamento precoce) sono diventate la naturale conseguenza del proprio lavoro. Tantè che ogni lavoratore rischia di non farci più caso trovandole “normali”. Poche persone sono consapevoli o attivano l’iter per le malattie professionali o tecnopatie; sia per il disinteresse dei medici di base che spesso non conoscono neppure l’iter, che per la minaccia di perdere il posto di lavoro o di subire discriminazioni.
Un lavoratore che si ammala di una malattia professionale, riconosciuta dall’INAIL, costa all’ INAIL molti soldi e perdendo la sua capacità performante viene demansionato; tutto ciò non giova al lavoratore ma nemmeno all’azienda. Questa prospettiva mette spesso i lavoratori nella condizioni di non lamentarsi, e la penalizzazione aziendale conduce alcuni medici del lavoro nella condizione di “falsificare” i certificati o di non riconoscere segni e sintomi come derivanti da malattie professionali.
Un lavoratore che invece si ammala di patologie metaboliche o sistemiche dovute ad una gestione lavorativa errata, ma che non risultano essere riconosciute come malattie professionali, non avendo diritto all’indennizzo, paga di tasca propria terapie riabilitative private, diventando comunque non performante per l’azienda, e se cronico diventa anche un costo fisso per lo Stato.
Proprio per ciò, in un ottica del tutto economica, escludendo in questo frangente quella umana che dovrebbe essere l’unica ad essere tenuta da conto, si evidenzia che un lavoratore malato risulta essere uno costo per l’azienda che per lo Stato.
Visite, esami e terapie che nel tempo diventano croniche, aumentano il costo globale della salute. E stiamo parlando solo di quei lavoratori (il 99%) che si ammalano di patologie derivanti dal vivere e mangiare in strutture inadeguate; se a questi aggiungiamo le vere e proprie malattie professionali che purtroppo secondo gli ultimi dati del 2018, proprio a causa del pessimo stile di vita lavorativo stanno aumentando, il costo aumenta a dismisura. Ed ecco una lista delle malattie professionali muscolo-scheletriche inserite dall’INAIL nel 2018.
- Borsite
- Ernia del disco per la movimentazione manuale dei carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo
- Meniscopatia degenerativa da microtraumi e posture incongrue a carico del ginocchio
- Morbo di Dupuytren relativi ad esposizione a microtraumi e posture incongrue degli arti superiori per le attività eseguite con ritmi continuativi e ripetitivi per almeno la metà del tempo del turno lavorativo
- Osteoangioneuropatie
- Silicosi
- Sindrome dello stretto toracico TOC (esclusa la forma vascolare)
- Sindromi da sovraccarico biomeccanico alla spalla
- Sindromi da sovraccarico del gomito e del polso-mano per microtraumi e posture incongrue a carico degli arti superiori per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del turno di lavoro
- Spondilodiscopatie del tratto lombare
- Talalgia plantare
- Tendinite di Achille
- Tendinopatia del quadricipite femorale
- Tendinopatie da overuse
- Tunnel carpale
- Tunnel tarsale
Quindi una domanda sorge spontanea, a livello squisitamente economico conviene alle istituzioni, alle imprese, investire sulla salute dei lavoratori o meglio sfruttarli facendoli ammalare? Trattare bene la propria “materia prima” non consentirebbe un aumento della quantità e qualità di vita e conseguentemente delle performans lavorative con un abbattimento dei costi della salute da malattie professionali croniche?
In attesa che in politica e soprattutto tra i sindacati, che tutto fanno in questi ultimi anni FUORCHE’ gli interessi dei lavoratori, si battano per consentire al lavoratore di poter lavorare con dignità e nel mantenimento della propria salute fisica e mentale, tutti i sanitari e soprattutto i MEDICI RIABILITATORI, spesso chiamati a gestire queste patologie privatamente visto che i lavoratori si rivolgono haimè spesso autonomamente al fisioterapista in quanto il medico di base prescrive solo FANS e corticosteroidi, oltre all’applicazione del corretto trattamento a mio avviso corre L’OBBLIGO dell’attivazione delle procedure di malattia professionale, se necessaria, e nella fornitura di adeguate informazioni correttive e preventive nella gestione delle 8 spesso 10 ore al giorno di lavoro giornaliere per evitare di diventare malati cronici e per vivere ogni giorno le proprie dieci ore con serenità.
Nell’ottica di correzione, profilassi, abbattimento dei costi sanitari, miglioramento della qualità di vita e della performance lavorativa, lo Studio Salvi ha costituito il progetto R.E.B.U.S; un progetto di prevenzione, profilassi e correzione rivolto sia al singolo lavoratore che alle aziende che prevede un percorso rieducativo attraverso l’ applicazioni di protocolli Low Cost veloci ed efficaci, che attraverso l’analisi sul posto di lavoro (ambientale, strumentale, ergonomica etc) fornisca specifici protocolli correttivi ed integrativi (alimentari, posturali, ausili ed ortesi etc.) tesi a prevenire, trattare e correggere le conseguenze di un errata gestione lavorativa anche nella gestione del primo soccorso riabilitativo. Sapere gestire nelle prime ore un trauma, evita conseguenze croniche che limitano l’attività lavorativa. Prevenire le patologie professionali o gestirle prima che diventino tali, diminuirebbe i costi sanitari ed aziendali, aumentando la produttività. |
La cultura del lavoro svolto come animali da soma non può essere accettata in una società che da una parte deve fare i conti con i costi sociali aumentati, ma dall’altra pone il suo obbiettivo economico nel miglioramento della qualità e qualità di vita.
Secondo recenti studi, se non si agirà verso questa direzione per paradosso nei prossimi anni assisteremo ad un inversione di tendenza dove nonostante ci siano strumenti per vivere meglio e di più si ricomincerà a morire male e giovani. Lavorare è un diritto-dovere, ma scegliere come farlo fa la differenza.
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