Questa riflessione sulla “miseria” del nostro tempo nasce dalla mia esperienza di consulenza con le famiglie, dall’interrogazione di un disagio che pare causato dall’ incapacità di gestire i dissesti emotivi dati dall’incapacità di saper proporre una sana e definita progettualità esistenziale e, soprattutto da come tutt’ intorno si inneggia al pessimismo sociale, al disfattismo etico e alla giustificazione dell’utilizzo dell’aggressività e della cattiveria. L’incontro con tante alterità che manifestano bisogni che non sanno articolarsi nel modo corretto attraverso l’elaborazione di domande adeguate, mi ha indotta a ripensare su quali fondamenta, i principi possono essere utilizzati in questo negativo tempo sociale che chiamerei ” tempo di miseria”. Tempo di miseria umana, dei rapporti, delle relazioni madre/padre figlio;tempo di miserie nelle amicizie, nei rapporti collaborativi. Tempo di miseria inteso nel senso più ampio del termine come un senso di precarietà che non permette di arricchire un tempo instabile che si viene a vivere o cercando di fare stare a galla il necessario, o aggrappandosi a tutto ciò che più di effimero esiste quasi per dimenticare, quasi per non accettare. l venir meno di un tessuto connettivo denso di etica e valori intrinsechi all’uomo, lo ha scollegato con una realtà che sta sempre più allontanando a lungo periodo gli individui, attraverso una disaggregazione palpabile e più che mai evidente. I gruppi si sciolgono, non esiste interesse collettivo all’ aggregazione sia in chiave sociale che in chiave politica. Da decenni oggetto di analisi sociologiche e di speculazioni filosofiche: l’uomo ha aperto il tempo alla caducità, entrando nell’abisso della crisi, della mancanza di fondamenti. La precarietà si è connotata, da Nietzsche in poi, come tempo di fratture, di dislivelli e discronie. Ma, senza dovere scomodare i filosofi, non è necessario indagare profondamente lo scibile umano per scoprire che l’essere in crisi mina la propria identità. Basta semplicemente accomodarsi e osservare ciò che ci circonda nella quotidianità.
«Ciò che si percepisce nella fase attuale – scrive Ciaramelli – caratterizzata da una crescente frammentazione della società globale…non è solo e non tanto il divario economico degli esclusi, ma è soprattutto la loro estromissione dal piano della produzione del senso…Questo fenomeno relega nell’insignificanza coloro che non hanno la libertà di creare significati, con la conseguenza di provocare sempre più risentimento, frustrazione, emarginazione ed analoghe patologie dell’identità».
I miei interlocutori più giovani, gli adolescenti appunto, vivono e crescono in una povertà di linguaggio tale da non sapere rappresentare a sé stessi, prima ancora che ad altri, le loro inquietudini, le quotidiane sofferenze, i conflitti che caratterizzano l’esistenza di chi si guarda, le loro volontà, i loro desideri tanto che ne vengono confusi. Le guide deputate all’insegnamento sia genitori sia educatori dovrebbero attraverso l’esempio guidare al saper vivere. Ma di fatto altro non fanno che essere simboli viventi di una società cattiva e malata. E’ l’esempio che tramanda, e i giovani sono figli dello stesso. Si parla di rispetto delle leggi. Ma cosa rispettano se gli stessi difensori errano? Si parla di rispetto della politica, ma cosa rispettano se la politica è corrotta? Si parla di esempio di amore, ma cosa rispettano se i propri genitori si separano? Una cosa signori è dittare, dettando leggi una cosa è esserne d’ esempio. Cosa m’aspetto da mio figlio se è obbligato ad andare a messa la domenica per potere avere i sacramenti se io dimostro di non andarci? M’aspetto sicuramente che, dopo l’obbligo, appena può non ci andrà più… perchè che esempio gli è stato dato? Ciò che si va a dimenticare e che tutti si muovono dinnanzi all’insegnamento non all’esempio che senza lo stesso è inefficace.
Ed ora? La mossa vincente, propagandata come ricetta di felicità è il coltivare il proprio orto non interferendo per niente in quello altrui. La sicurezza infatti non è data dall’essere ma dall’ apparire sicuri. E siccome per esserlo non vi sono le fondamenta ciò che si evita è l’intervento in situazioni che minano la stessa sicurezza. Anche se si sa si tace consci di ciò, consci nell’atto di tacere di provocare un assenso nel perpetrarsi di azioni che sempre più spesso sono aggressive; giustificandosi che in fondo è meglio così, limitiamoci a tutelare il noi. Quindi i vicini di casa che sentono strani rumori nella casa accanto, pur sapendo che i famigliari sono via non intervengono. Le urla per strada fanno chiudere le finestre. Una donna picchiata in metrò spaventa e si sta alla larga e via discorrendo. Il cittadino si sente perso e la politica che dovrebbe occuparsi del corretto uso della socievolezza civica e della sicurezza individuale di ogni singola persona invero non si preoccupa, nel presente, della libertà individuale, dell’emersione del solidale, del mutuo soccorso, dell’intervento propositivo e tutelativo verso realtà nelle quali sempre più spesso brulica l’ingiustizia e la cattiveria, poiché tendono ad appiattire l’azione solo nella promulgazione di leggi o norme non per i cittadini, ma per cercare di sanare le vicessitudini nate dagli scompensi che la politocrazia in anni di carriera ha cannibalizzato sventrandone le fondamenta. Oggi anche in politica è un rincorrere le falle che si aprono a voragine. E come in politica, anche nel sociale tali scompensi provocano nell’ esistenza quotidiana e nella storia personale miseria sinonimo di cattiveria sociale e indifferenza. Ma si può migliorare questa azione sia nell’individuale che nel sociale che in chiave politica. L’ambito in cui può agire la sociologia è la riattivazione della funzione dell’ascolto e della capacità di comprensione che curando l’altro si cura il sé. La cura sociologica è una terapia di “rieducazione al sentire e all’ ascoltarsi”, al sentimento di sé e degli altri.
E la riattivazione del sentire è l’unico farmaco contro le patologie nevrotiche del nostro tempo di miseria e, in questo stato di inconsapevolezza, l’ideologia e la paura divengono determinanti nella costruzione delle scelte che vanno sapute gestire in modo diverso.
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P.Manlio dice
Certo che questo è uno scritto che va dritto al cuore..
Perchè siamo in questa condizione? Solo per la crisi economica?
La necessità in passato non era necessariamente (mi si scusi il gioco di parole) una causa di divisione, o se lo era si parlava di divisione in gruppi e non di divisione in singole unità..
Si pensi al Medioevo, al dopoguerra Italiano, a tanti esempi di momenti di crisi o di bisogno affrontati con la solidarietà e non con la divisione e l’isolamento..
Che cosa è cambiato?
Secondo me, ma non vuol essere un discorso di parte (uomo di sinistra verso una cosa ‘di destra’) è cambiata una visione della società grazie al consumismo..
Consumismo che non ha fatto solo mali sia chiaro, ma ha fatto ANCHE mali, cosa ben diversa..
Il consumismo basa la soddisfazione dell’individuo sui bisogni MATERIALI e su sè stesso, non su bisogni spirituali e di un gruppo sociale..
Inoltre in realtà i bisogni non devono venire soddisfatti, altrimenti il meccanismo si blocca: se oggi il mio telefonino mi fa contento domani dovrò esserne scontento per comperarne un altro..
E’ totalmente un male?
No, non credo: in fondo le donne in America hanno richiesto il diritto di voto quello ad uno stipendio decente perchè lavoravano in fabbrica come i mariti e volevano anche loro togliersi delle soddisfazioni..
Da lì è partito il femminismo (dalle suffraggette americane dell’ottocento) ed una società migliore..
In fondo io stesso sono soddisfattissimo di avere una macchina fotografica bellissima..
Ma come ogni cosa l’estremo ha anche i suoi limiti..
Le parole ‘Libertà’ e ‘Rivoluzione’ del 1968 nascondevano una attenzione a sè stessi ben diversa delle parole ‘Libertà, uguaglianza e fraternità’ dei Francesi..
Erano sacrosante, ma puntavano su ‘Io’ e non su ‘Noi’..
E se si estremizza questo ‘Io’ e nel contempo mi becco in faccia una crisi economica pesantissima, e sono anche meno abituato a reagire di mio nonno che ha fatto la guerra (io ho fatto quella dei videogiochi, ben diversa) il meccanismo dell’isolamento sociale può scattare..
Nella nostra società, che tende fondamentalmente al Dio denaro, e che ci mostra, come scritto sopra, mille negazioni dei valori che vorrebbe propagandare ed anzi li esalta, la tentazione è ancor più forte..
Mi chiedo come sarebbe in un contesto dove vedi con i tuoi occhi gente stare male e sai che dandogli da mangiare gli fai solo bene, forse sarebbe diverso..
Ma qui no: qui andiamo al Supermarket perchè si spende di meno, ma anche perchè si perde meno tempo a parlare con il venditore, e quello che era uno scambio umano finisce per divenire uno scambio a casa con un PC o un televisore.. 🙁
Un saluto a tutti!
Manlio
admin dice
Caro Manlio, vero…Un bambino che vinene picchiato fino alla morte perchè “Reo” di disturbare; una donna che viene sgozzata perchè “Rea” di avere mollato, un uomo che viene fucilato perchè “Reo” di avere arrecato disturbo come vicino…. L’intolleranza che si evince negli altri altro non è che le nostre insicurezze, le nostre intolleranze le nostre caducità e di certo la politica attuale della gestione dei sistemi sociali non fa altro che amplificare questo senso di precarietà giustificandone poi la violenza.