La morte di Amy Winehouse, come più volte denunciato dal padre poteva essere prevenuta. Ma non certo chiedendo aiuto agli altri o alle strutture. Più volte il padre si è lasciato andare in richieste d’aiuto: “Save my Amy…“. Ma alla fine chi deve decidere di smettere di eccedere è solo chi lo fa. Fatto sta che nonostante sia vissuta come una persona infelice e drogata (nemmeno tanto brava), ora è diventata un’ icona di cera da emulare. E come lei tutti coloro che sono morti con un nome stampato sul petto e una ” striscia” nel cuore. La morte di Amy, apre una spirale di domande simultanee a ripetizione. Ma la più interessante alla quale poter rispondere è : La cultura dell’eccesso paga? Sviscerando la vita di Amy, possiamo dire che il suo eccesso l’ha portata a pagare di persona le sue scelte, anche se in un ambito dove la dicotomia musica rock e maledizione da suicidio assistito tra droghe, alcool e disperazione la fanno da padrone (Jhon Belushy – Jimi Hendrix – Janis Joplin – Jim Morrison – Brian Jones – Kurt Cobain – Micael Jackson, Elvis Presley, Sid Vicious ). Ma cosa hanno comunicato queste persone per far si che la loro immagine potesse essere mitizzata nonostante nella vita, molti di loro non avessero nemmeno avuto dei talenti particolari da osannare, o comportamenti socialmente apprezzabili da poter diventare delle icone? Di primo acchito si potrebbe facilmente liquidare la questione attraverso una risultante spicciola. La cultura dell’eccesso paga. Ma invece non è così. Se fosse questa la motivazione che spinge alcune persone a mitizzare individui che hanno vissuto e sono morti nella sregolatezza, ognuno di noi, se eccedesse, potrebbe a suo modo diventare un mito. Come avrebbero potuto diventare icone, persone morte a causa dei medesimi eccessi, ma che invece non hanno avuto ugual privilegio (Mia Martini, Karen Carpenter, Steve Clark, Marc Bolan etc…. ).
Cos’è quindi che fa diventare una persona un mito?
Non ciò che è, o come lo fa, ma se ciò che crea è un movimento identificativo innovativo. Tutte le persone citate di fatto erano Antimodaliste. Ossia d’avanguardia. Erano persone audaci e innovative che in anticipo dettavano tendenze e modi di essere ancora prima che si sviluppassero. Anzi furono proprio loro, a creare tale fenomeno.Tali persone hanno creato in un determinato ambito una corrente così importante che la gente non si identifica tanto in loro o negli eccessi che li hanno auto distrutti, anzi spesso gli stessi fan sono i primi a criticarne le scelte, ma nella corrente che hanno iniziato. E ciò va oltre alla loro immagine. Non è quindi la cultura dell’eccesso, che ha determinato la loro mitizzazione. Proprio perché nei medesimo contesti e anche in presenza di un talento musicale o vocale eccezionale, spesso non si è eviscerata. A maggior ragione, dove la sicurezza del grigiore e dell’ anonimato diventano polizze assicurative per un futuro “senza grane”, in una quotidiana esistenza già di per se precaria che non restituisce certezze future, è improbabile che la cultura così traballante e di certo approssimativa dell’eccesso possa essere presa in considerazione. Viviamo una vita precaria, e di certo ciò di cui si ha bisogno è la certezza di quel poco che la stessa da. Sebbene oggi manchi il coraggio di affrontare anche la propria esistenza, ed è ciò che ha causato la scelta di Amy di auto annienatrsi nello spirito del non sentire nulla, l’eccesso è uno strumento con il quale chi eccede sa di giocare alla roulette russa. Non ho mai conosciuto di fatto, una persona che sia felice di eccedere, qualunque cosa faccia per espletarlo. L’alcolizzato, il drogato, la ninfomane, l’esibizionista, il violento, il goloso sino a scoppiare, il narcisista e così via dicendo, non è mai felice di ciò che fa. E vive tra il bisogno di eccedere e i sensi di colpa, sapendo razionalmente che ciò lo distruggerà. Ma che non ci può fare nulla. La cultura dell’eccesso quindi è la stanza della rassegnazione. E molto spesso non si ha nemmeno il coraggio di volerla chiudere per poter vivere.
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Alessandro dice
Dall’analisi manca un fattore determinante. La produzione.
Negli anni ’70 qualcuno, qualche imprenditore della musica cioè, ha capito che l’artista dedito ad alcool e stupefacenti, con vita sregolata e consapevolezza di essere un divo, diventava progressivamente meno produttivo in temini artistici e più oneroso in termini di gestione. Inoltre con la fama era sempre più difficile mantenere alti i margini di guadagno perchè l’artista più era famoso, più aveva chance di incrementare la sua percentuale sulle vendite tramite battaglie legali.
Ad un certo punto quindi, l’artista veniva considerato “bruciato” al punto che il guadagno derivante da un’improvvisa dipartita si trovava ad essere maggiore di quello ottenibile in una vita da tossico e con creatività prossima allo zero.
Viceversa, all’inizio delle carriere, la creatività dei giovani artisti geniali, godeva di enorme beneficio dall’uso di certe sostanze, che a ragion veduta venivano fornite dalla produzione stessa che da esse aveva solo da guadagnare.
Quindi alcune morti sono per lo meno sospette, perchè come in tutti i potenziali crimini, il movente c’è ed è bello grosso.
Amy Winehouse era una ragazzina londinese dotata di un talento inimmaginabile, con una capacità interpretativa propria di artiste navigate come ella fitzgferald, ma la freschezza di una 22enne. Amy ha venduto 10 milioni di copie del suo album d’esordio, il che, considerato il contemporaneo boom del peer-to-peer, è un traguardo che non è MAI stato raggiunto da nessuno nella storia della musica mondiale. E se lo è meritato.
Quegli abusi che la hanno uccisa, le sono serviti per esplodere nello star system, lei ha perso la sua giovinezza e la sua vita, ma chi si è arricchito alle sue spalle gode di splendida salute.
Ovvimente è già uscito il cofanetto postumo, che va a ruba, con i suoi ultimi demo inediti farciti dell’emotività derivante dai suoi tentativi di riprendere la retta via.
Non è possibile morire così a 27 anni se si è circondati da persone che hanno cuore la tua vita, su questo purtroppo non c’è dubbio.
Ora Amy diventerà un tormentone, ma solo per gonfiare ulteriormente le tasche di che l’ha lasciata morire per il denaro…
Alessandro dice
Quindi, rispondo al titolo dell’articolo:
La cultura dell’eccesso paga eccome, solo che non ne beneficia chi eccede e ci lascia le penne, ma chi specula sulla sua produttività economica di zombie strafatto.
Del resto ci sono brillanti esempi anche nel “sanissimo” mondo dello sport!!!
ale
rosso cardinale dice
Ma non paga per molto Ale!
rosso cardinale dice
UFFICIOSAMENTE INVITATI NEL FORUM 🙂